Ganesha, il dio dalla testa di elefante


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L'amata divinità dalla testa di elefante, popolarmente conosciuta come Ganesha, ha incuriosito persone di tutto il mondo, nei secoli e fino ai giorni nostri. I testi sacri offrono una varietà di storie al riguardo della nascita di Ganesha.

La più popolare narra che Ganesha fu creato dalla dea Parvati, come guardiano per la sua privacy: arrabbiata per il rifiuto del marito di rispettare la sua privacy, fino al punto di entrare nelle sue stanze private anche mentre stava facendo il bagno, Parvati decise di sistemare le cose una volta per tutte. Prima di andare a fare il bagno, strofinò della pasta di sandalo sul suo corpo e creò un giovane ragazzo. Gli infuse la vita e gli disse che era suo figlio e che avrebbe dovuto custodire l'ingresso, mentre faceva il bagno.

Poco dopo, Shiva (il Signore della Distruzione e marito di Parvati) venne a vedere Parvati ma il ragazzo gli bloccò la strada e non lo fece passare. Shiva, senza sapere che questo ragazzo era suo figlio, divenne furioso e con grande rabbia recise la testa del ragazzo. Parvati, di ritorno dal bagno, vide il figlio senza testa e minacciò di distruggere i cieli e la terra, tanto grande era il suo dolore.

Shiva la calmò e diede incarico ai suoi seguaci (noti come gana) di portare la testa del primo essere vivente che incontrassero. La prima creatura che incontrarono fù un elefante. Gli tagliarono la testa, la posarono sul corpo del figlio di Parvati e soffiarono la vita in lui. Così felice, Parvati abbracciò suo figlio.

Al figlio di Parvati, Shiva diede il nome di Ganesha. La parola Ganesha è costituito da gana (seguaci di Shiva) e Isha (signore), quindi Shiva lo nominò signore dei suoi gana.

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Ganesha è di solito raffigurato sia come pittogramma o come un idolo, con il corpo di un uomo e la testa di un elefante, con una sola zanna, l'altra zanna appare spezzata. La sua caratteristica, oltre alla testa di elefante, è la grande pancia. Sul petto è il suo filo sacro, spesso sotto forma di un serpente. Il veicolo di Ganesha è un topo, in atteggiamento di obbedienza al suo signore.

Secondo le rigide regole della iconografia hindu, le figure di Ganesha con solo due mani sono tabù. Quindi, le immagini di Ganesha sono più comunemente viste con quattro mani, ad indicare la sua divinità. Alcune rappresentazioni sono con sei mani, alcune con otto, alcune con dieci, alcune con dodici e alcune con quattordici mani, ogni mano portando un simbolo che differisce dai simboli nelle altre mani.

Gli attributi fisici di Ganesha sono ricchi di simbolismi. Egli viene normalmente visualizzato con una mano nella posizione di protezione e rifugio (abhaya) e l'altra in possesso di un dolce (modaka), simbolo della dolcezza del Sé interiore realizzata. Nelle due mani dietro di lui, spesso tiene un ankusha (pungolo per elefante) e un pasha (cappio). Il cappio è per comunicare che gli attaccamenti mondani e i desideri sono un cappio. Il pungolo è per spingere l'uomo sulla via della rettitudine e della verità. Con questo pungolo, Ganesha può sia colpire che respingere gli ostacoli.

La sua pancia significa la generosità della natura e anche che Ganesha inghiotte i dolori dell'universo e protegge il mondo.

L'immagine di Ganesha è uno composito. Quattro animali: l'uomo, l'elefante, il serpente e il topo contribuiscono alla composizione della sua figura. Tutti loro hanno individualmente e collettivamente un profondo significato simbolico. L'immagine di Ganesha rappresenta quindi la lotta eterna dell'uomo verso l'integrazione con la natura. Egli deve essere interpretata tenendo conto del fatto che, anche se passano i millenni, l'uomo rimane ancora più vicino all'animale oggi, più di quanto non fosse mai prima.

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La caratteristica più sorprendente di Ganesha è la testa di elefante, simbolo di buon auspicio, forza e abilità intellettuale. Tutte le qualità dell'elefante sono contenute nella forma di Ganpati (altro nome di Ganesha). L'elefante è il più grande e più forte degli animali della foresta. Eppure è dolce e, sorprendentemente, un vegetariano, in modo che lui non uccide per mangiare. Lui è molto affettuoso e fedele al suo guardiano, è molto influenzabile se l'amore e la gentilezza sono estese a lui. Ganesha, sebbene una potente divinità, è altrettanto amorevole e sa perdonare se mosso dall'affetto dei suoi devoti. Ma allo stesso tempo l'elefante può distruggere un intero bosco ed è un esercito quando provocato. E' potente e può essere spietato quando contiene il male.

Inoltre, la grande testa di Ganesha è il simbolo della saggezza dell'elefante. Le sue grandi orecchie, come il vaglio, vagliano il male dal bene. Anche se sente tutto, mantiene solo ciò che è buono; sono attente a tutte le richieste fatte dai devoti, siano essi umili o potenti.

La proboscide di Ganesha è il simbolo della discriminazione (viveka), una qualità importante per il progresso spirituale. L'elefante usa la proboscide per spingere giù un albero enorme, trasportare enormi tronchi al fiume e per altri compiti pesanti. La stessa enorme proboscide viene utilizzata per raccogliere qualche filo d'erba, rompere una piccola noce di cocco, rimuovere la scorza e mangiare la polpa. Il più grande e il più minuto dei compiti sono all'interno della gamma di questa proboscide, che è simbolo dell'intelligenza di Ganesha e del suo potere di discriminazione.

Un aspetto interessante dell'iconografia di Ganesha è la sua zanna spezzata, che porta la denominazione di Ekdanta; Ek che significa uno e Danta che significa denti. C'è un'interessante leggenda alle spalle:

quando Parashurama, uno dei discepoli preferiti di Shiva, venne a fargli visita, trovò Ganesha di guardia gli appartamenti di Shiva. Dato che suo padre era addormentato, Ganesha si oppose all'ingresso di Parshurama. Parashurama tuttavia cercò di aprirsi la strada e le parti vennero alle mani. Ganesha ebbe in un primo momento il vantaggio, cogliendo Parashurama con la sua zanna e facendogli fare una piroetta che lo lasciò senza sensi; appena ripresosi, Rama lanciò la sua ascia contro Ganesha, il quale riconoscendola come l'arma che suo padre Shiva aveva dato a Parashurama, la ricevette con tutta umiltà su una delle sue zanne, che si tagliò. Per questo Ganesha ha una sola zanna.

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Una diversa leggenda narra che a Ganesha fù chiesto di scrivere il poema epico Mahabharata, dettato a lui dal suo autore, il saggio Vyasa. Tenendo conto dell'enormità e dell'importanza del compito, Ganesha realizzò l'inadeguatezza di qualsiasi penna ordinaria per intraprendere l'attività. Egli quindi ruppe una delle sue zanne e ne fece una penna. La lezione è che nessun sacrificio è abbastanza grande nella ricerca della conoscenza.

Il topolino che Ganesha dovrebbe cavalcare, è un'altra caratteristica enigmatica nella sua iconografia. A prima vista sembra strano che al signore della saggezza sia stato concesso un umile e ossequioso topo, del tutto incapace di sollevarne il ventre gonfio e la testa massiccia che possiede. Ma ciò implica che la saggezza è un conglomerato di fattori e, inoltre, che i saggi non trovano nulla al mondo di sproporzionato o brutto.

Il topo è, a tutti gli effetti, paragonabile all'intelletto. E' in grado di scivolare inosservato o senza la nostra conoscenza in luoghi che non avremmo pensato fosse possibile penetrare. In questo modo non è certo se è in cerca della virtù o del vizio. Il topo rappresenta quindi il nostro vagare, la mente ribelle, attirata da motivi indesiderabili o corruttivi. Mostrando il topo pagare sottomissione al Signore Ganesha, è implicito che l'intelletto è stato domato attraverso il potere di discriminazione di Ganesha.

Qualsiasi tentativo di penetrare nelle profondità del fenomeno Ganesha, deve notare che egli è nato dalla dea Parvati, senza l'intervento di Shiva suo marito, e come tale egli condivide un rapporto molto particolare e speciale con la madre. La natura sensibile del suo rapporto con Parvati è reso chiaramente nel seguente racconto:

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da bambino, Ganesha prese un gatto tirandolo per la coda, sbattendolo al suolo e provocandogli grande dolore, come i cattivi ragazzi sono soliti fare. Dopo qualche tempo, stanco del suo gioco, andò da sua madre Parvati. La trovò in grande dolore e coperta di graffi e polvere dappertutto. Quando le chiese cosa era successo, ella lo incolpò e spiegò che lei era il gatto preso in giro.

La sua totale devozione verso la madre è il motivo per cui, nella tradizione del sud dell'India, Ganesha è rappresentato come singolo e celibe. Si dice che sentiva sua madre, Parvati, come la più bella e perfetta donna nell'universo. Portatemi una donna bella come lei ed io la sposerò, disse. Nessuno riusciva a trovarne una uguale alla bellissima Uma (Parvati), e così la leggenda dice che la ricerca è ancora in corso ....

In contrasto con la tradizione indiana del Sud, nel Nord dell'India Ganesha è spesso mostrato sposato con due figlie di Brahma (il Signore del Creato), vale a dire Buddhi e Siddhi. Metaforicamente Buddhi significa saggezza e Siddhi realizzazione. Nello spitito dello yoga, Buddhi e Siddhi rappresentano le correnti femminili e maschili nel corpo umano. Nelle arti visive questo aspetto di Ganesha è rappresentato con grazia e fascino.

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In un altra versione leggermente erotica del pensiero tantrico, Ganesha è raffigurato in una forma nota come "Shakti Ganpati". Qui è raffigurato con quattro braccia, due delle quali in possesso di oggetti simbolici. Con le altre due braccia accarezza la sua consorte, comodamente in equilibrio sulla sua coscia sinistra. Il terzo occhio in questa rappresentazione, è naturalmente l'occhio della saggezza, che vede al di sopra e oltre la semplice realtà fisica.

Nessuna analisi del Signore Ganesha può concludersi senza una menzione della sillaba mistica AUM. Il sacro AUM è il più potente simbolo universale della presenza divina nel pensiero induista. Si dice sia il suono che è stato generato quando il mondo è stato creato. La manifestazione scritta di questo simbolo divino quando invertita, dà il profilo perfetto del dio con la testa di elefante.

Ganesha è dunque il solo Dio ad essere associato in un certo senso "fisico" con il primordiale e sacro suono AUM, un richiamo eloquente della sua posizione suprema nel pantheon induista.
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